In un momento storico in cui la mobilità globale e le radici culturali si intrecciano più che mai, il recente taglio generazionale nel riconoscimento della cittadinanza italiana per iure sanguinis rappresenta non solo un atto di rigidità istituzionale, ma una ferita profonda all’anima di milioni di discendenti di italiani nel mondo.
L’Italia non è solo un territorio. È un’eredità, una memoria viva che si trasmette con orgoglio di generazione in generazione. Molti discendenti di italiani siamo cresciuti con il racconto delle nostre radici, con le storie dei nonni e bisnonni che emigrarono con la speranza di un futuro migliore, portando con sé non solo una valigia, ma il peso di una cultura, di una lingua, di un modo di essere. Il sangue italiano non si cancella con il passare del tempo né con la distanza. Si sente, si vive e si onora.
L’impedimento alla continuità generazionale del diritto alla cittadinanza per iure sanguinis non solo priva migliaia di persone del legittimo diritto di recuperare la propria identità, ma rompe un ponte vitale tra l’Italia e la sua diaspora. Questa politica restrittiva colpisce profondamente famiglie che, con sacrificio, hanno venduto proprietà, lasciato lavori e professioni, e abbandonato le loro vite in altri Paesi per tornare nella terra dei loro antenati. Non per una promessa economica, ma per una chiamata interiore: l’italianità si porta nel sangue.
Il taglio della linea generazionale non ha solo conseguenze emotive e sociali, ma anche economiche. L’arrivo di discendenti di italiani genera una preziosa attività economica in molteplici settori: dal turismo e l’edilizia, all’imprenditoria, al consumo locale e alla ripopolazione delle aree rurali. Ogni nuova famiglia che si stabilisce in Italia porta con sé investimenti, talento e un amore profondo per il Paese che li accoglie. Sono italiani che hanno deciso di tornare, e che non dovrebbero essere considerati stranieri nella propria casa.
Ringrazio profondamente mio padre, cittadino italiano, e tutti i miei antenati che hanno reso possibile che oggi io possa vivere in questa terra con i miei figli e la mia famiglia. Questa opportunità non solo mi ha permesso di riconnettermi con le mie radici, ma anche di contribuire con umiltà a questa nazione che tanto amiamo.
Per questo, rivolgo una richiesta al Parlamento e allo Stato italiano: che si riveda con urgenza il taglio generazionale dello iure sanguinis e si rivaluti la sua applicazione in modo più umano, più giusto, più coerente con la nostra storia. Che si ascoltino le migliaia di persone rimaste bloccate in un limbo legale, senza riconoscimento né diritti, nonostante abbiano investito tutto ciò che avevano nel sogno legittimo di tornare nella patria delle proprie origini.
L’Italia non dovrebbe chiudere le porte ai suoi figli. Dovrebbe, piuttosto, aprire le braccia a coloro che, con amore, sacrificio e identità, desiderano far parte del suo presente e del suo futuro.
Romina Cacciatore
Interprete e mediatrice