Gli atleti della DLF Nissa Rugby alle prese con la vita ‘limitata’ dal coronavirus. Michelangelo Rinaldi, capitano e medico in reparto covid: “Dobbiamo lottare”

Covid-19 che ha “capovolto” il 2020. Una “rivoluzione” che ha cambiato le nostre abitudini, anche quelle degli atleti della DLF Nissa Rugby. Tutti, uomini e donne, ragazzi e bambini hanno purtroppo dovuto limitare il tempo da dedicare all’amata palla ovale. Ognuno è stato chiamato nel lavoro, a scuola, in famiglia, nei rapporti interpersonali, a modificare le proprie abitudini, ad allinearsi a regole nuove, modalità di quotidianità differente.

Ma come si vive “lontani” dallo spogliatoio. Abbiamo voluto raccontare cosa si cela dietro una vita parzialmente prigioniera della pandemia, “ridotta” dalle limitazioni del Dpcm ed abbiamo voluto iniziare dal Capitano, Michelangelo Rinaldi, 28 anni, medico.

Lui, ancor più degli altri per incombenze professionali, vive gran parte delle sue giornate a stretto contatto con il covid: una mischia davvero “complicata”.“Gioco nella Nissa Rugby da quando avevo poco meno di 17 anni. Per brevi periodi ho giocato anche in altre squadre di città dove mi sono trasferito per motivi di studio. La passione per questo sport non è mai finita per questo motivo ho sempre cercato un pallone ovale ovunque andassi. Due anni fa, dopo essere tornato a Caltanissetta e nella DLF Nissa Rugby la società ha voluto che rappresentassi la squadra come capitano, per me motivo d’orgoglio. Onorato della fiducia della società e soprattutto dei miei compagni, ho affrontato questi due anni con un sapore diverso date le maggiori responsabilità sportive e non solo. Le mie preoccupazioni, data la mia poca esperienza nel mondo ovale per un ruolo così fondamentale, hanno sempre trovato conforto nei miei compagni di squadra, soprattutto quelli più grandi ed esperti di me. In questi anni, tutti insieme abbiamo ottenuto ottimi risultati sul campo e sul territorio e sono fiero di loro. Nella vita oltre che un rugbista sono anche un medico. Da poco più di un anno ho raggiunto questo altro sudatissimo traguardo e adesso mi trovo impegnato nell’emergenza Covid”.

Il tuo lavoro, la tua vita, sempre “in campo”: “Essendo un medico, attualmente in servizio in un reparto Covid, posso affermare che il covid è stato determinante nel mio lavoro non solo dal punto di vista dei cambiamenti apportati su di esso. Lavorare in un ambiente del genere rispetto a qualsiasi altro reparto di un ospedale è molto diverso sotto diversi punti di vista. Modalità di lavoro e tempistiche sono fondamentali, così come pianificazione e organizzazione. L’elevata contagiosità di questo virus ti obbliga ad attuare specifiche misure di sicurezza per il personale sanitario e per i pazienti oltre a mantenere la massima attenzione in tutto ciò che si fa e in come si fa per non correre rischi ed offrire il massimo supporto ai pazienti. Il fattore psicologico in questo ambito lavorativo non è da sottovalutare, ogni giorno si ha a che fare con situazioni difficili sia dal punto di vista clinico che dal punto di vista emotivo. Per fortuna c’è anche chi migliora clinicamente e guarisce virologicamente e può tornare dopo tanto tempo dai propri cari, questa è la gioia più grande che allevia lo stress psicologico a cui siamo sottoposti ogni giorno”.

Cambiamenti su cambiamenti non sempre facili da gestire. “Credo che il covid abbia cambiato o meglio sconvolto un po’ la vita di tutti. Nella mia vita in particolare, sono aumentate le preoccupazioni per chi mi sta intorno. Per il tipo di lavoro che svolgo la paura di potersi contagiare e in quel caso diventare un veicolo di contagio per chi ti sta intorno c’è sempre. Difatti negli ultimi mesi ho ridotto drasticamente le mie attività all’infuori del lavoro, per poter avere meno contatti possibile con le persone”.

Come affronti la tua vita sociale in questo frangente? Utilità e tempo dedicati ai social? “Rispondo continuando il discorso precedente e ti dico che sia i ritmi di lavoro che il tipo di lavoro che faccio mi hanno portato a ridurre la mia vita sociale al minimo indispensabile in modo da correre meno rischi sia io che i miei contatti. Ho ridotto la mia frequenza agli allenamenti e gli incontri con amici e parenti se non quando strettamente necessari e con le giuste precauzioni. Purtroppo dobbiamo imparare a convivere con tutto ciò almeno per il momento, e ridurre la propria vita sociale credo sia un senso di profonda responsabilità civica. Sono sicuro che usciti da questa seconda ondata ci sarà una maggiore responsabilità da parte di tutti. Per quanto riguarda i social, in termini di tempo passato su di essi, personalmente non è cambiato molto, però adesso mi rendo conto di averne ottimizzato l’uso che ne faccio. Principalmente mii permettono di tenermi informato e aggiornato sulle novità quotidiane e su tutti gli interessi che nutro. Inoltre grazie a loro mi tengo in costante contatto con amici e parenti, lontani e vicini così da non soffrire troppo le lontananze e il distanziamento sociale”.

Cosa ti manca di più del rugby? La prima cosa che farai ritornando alla tua “normale” vita di atleta”? “Oh finalmente parliamo di Rugby. Di questo sport mi manca tutto, gli allenamenti settimanali, il sudore buttato durante i giri di campo, il gelo invernale che penetra pantaloncini, il fango in cui si gioca quando piove, l’ansia della partita della domenica, la partita della domenica, il terzo tempo, i dolori del giorno dopo, ma se devo proprio pensare a cosa mi manca di più non posso che risponderti lo spogliatoio. I momenti passati lì dentro insieme ai tuoi compagni di squadra sono l’essenza di questo sport. Si ride, si scherza, ci si prende in giro, ci si sfoga, ci si confida è dentro lo spogliatoio che si forgia l’anima di una squadra ed è per questo che la prima cosa che farò quando torneremo alla normalità sarà bermi una birra con tutta la squadra anche se non è una cosa molto consona con la “normale vita di un atleta” ma è perfettamente consona con la vita di un rugbista”.

Che insegnamenti trai da questo particolare periodo della tua vita? Non lo so, sinceramente non credo di essere in grado di rispondere a questa domanda al momento. Non ho ancora avuto modo e tempo di fermarmi e riflettere su cosa mi sta lasciando questo periodo storico. Credo che più in là, quando tutto sarà finito e torneremo alle vite di prima potremo prendere piena contezza di cosa ha lasciato tutto ciò ad ognuno di noi. Sicuramente questa pandemia ci sta dimostrando che nulla è scontato nelle nostre vite, che in realtà siamo esseri fragili ma combattenti e che anche le cose più semplici e banali possono mancarci terribilmente quando siamo costretti a limitarcene”.

 

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