Operazione “Parabellum“. Tre condanne definitive: un ergastolo e 26 anni di carcere per l’omicidio di Campisi Alfredo

Un ergastolo e quasi 26 anni di carcere, confermati dalla Cassazione, nei confronti di tre pregiudicati nisseni condannati, dalla Corte d’Assise d’Appello di Catania, a vario titolo, per omicidio e tentato omicidio nei confronti di Campisi Alfredo.

Stamane i poliziotti della Squadra Mobile di Caltanissetta, in collaborazione con quelli del Commissariato di Niscemi, hanno dato esecuzione al provvedimento definitivo, a seguito del rigetto dei ricorsi presentati in Cassazione contro le condanne emesse dalla Corte d’Assise d’Appello di Catania, a carico di:

Arcerito Giuseppe Amedeo cl. 1953, condannato alla pena dell’ergastolo, con isolamento diurno di tre mesi;

Di Pasquale Salvatore cl. 1966, condannato alla pena di 13 anni di reclusione e

Amato Francesco cl. 1970, condannato alla pena di 12 anni e 9 mesi di reclusione.

Arcerito Giuseppe Amedeo, inteso “u lumiaru”, considerato elemento di vertice di cosa nostra niscemese, è stato condannato alla pena dell’ergastolo in quanto ritenuto responsabile, in qualità di mandante, dell’omicidio in danno di Campisi Alfredo avvenuto nel novembre del 1996; Amato Francesco, inteso “Ciccio pistola”, è stato condannato per aver attentato, in due occasioni (una nella piazza principale e l’altra presso un laboratorio di lavorazione marmi di Niscemi) alla vita di Campisi Alfredo; Di Pasquale Salvatore, inteso “Turi Cavulata” per aver attentato alla vita di Campisi Alfredo, in piena piazza di Niscemi. Per tutti è stata contestata l’aggravante dell’aver compiuto quei gravi fatti di reato come appartenenti all’associazione mafiosa di cosa nostra di Niscemi (ala Emmanuello).

Le indagini della Squadra Mobile, condotte con il Commissariato di Niscemi, culminate nel 2011 con l’emissione di sei ordinanze di custodia cautelare in carcere a carico dei tre odierni condannati (oltre a Emmanuello Alessandro, Montalto Sebastiano e Lombardo Rosario, deceduto) misero in risalto la figura di Campisi Alfredo, soggetto emergente dell’organizzazione mafiosa “cosa nostra” niscemese, all’interno della quale si era verificata una spaccatura dovuta soprattutto alle ambizioni di comando dello stesso, il quale già dal 1994, aveva iniziato a crearsi un proprio gruppo di spietati minorenni tra i quali, in particolare, spiccava il Chiavetta Giuliano – attuale collaboratore di giustizia.

Il Campisi venne ucciso il 6 novembre 1996 sul ponte Dirillo (agro di Acate) che segna il confine tra la provincia di Ragusa e quella di Caltanissetta: l’omicidio venne commesso materialmente da Pitrolo Antonino, oggi collaboratore di giustizia, e da Buzzone Giuseppe, inteso “Turi Cavolata” (quest’ultimo già condannato, in altro procedimento, alla pena di anni 17). Campisi Alfredo nell’occorso venne attinto più volte alle spalle, mediante l’utilizzo di una pistola semi automatica marca Walther – cal. 7,65 – con matricola abrasa, mentre si trovava alla guida della propria autovettura Y10 in compagnia di Chiavetta Giuliano (anch’egli collaboratore di giustizia); Pitrolo e Buzzone portarono a termine l’omicidio dopo un lungo inseguimento, effettuato a bordo di un’autovettura Fiat Tempra, condotta dal Buzzone, che aveva avuto inizio dalle porte di Niscemi e si era concluso sul ponte “Dirillo”.

Precedentemente, Campisi Alfredo era stato vittima di altri due tentativi d’omicidio; per i quali, dopo le indagini della Squadra Mobile nissena, furono condannati Emmanuello Alessandro (all’ergastolo, in qualità di mandante dei tentati omicidi e dell’omicidio) e il collaboratore Celona Emanuele (in qualità di esecutore materiale dei tentati) in quanto colpevoli di aver attentato la vita del Campisi nei pressi del laboratorio artigianale di lavorazione marmi ubicato a Niscemi in Via Officina Elettrica s.n.c. dove quest’ultimo lavorava; i gelesi Greco Emanuele, Billizzi Massimo Carmelo, Ferracane Fortunato, Licata Nunzio furono condannati, in qualità di esecutori, per il delitto di tentato omicidio, consumato nei pressi della piazza principale di Niscemi, nonché di detenzione e porto abusivo di armi da fuoco.

Lo scorso 6 ottobre, ad Arcerito Giuseppe Amedeo sono stati confiscati terreni, mezzi agricoli e fabbricati per un valore complessivo di circa cinque milioni di euro, acquisiti grazie al suo ruolo di vertice ricoperto in seno all’associazione mafiosa di “cosa nostra” operante a Niscemi.

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