Altra vittoria dell’Adusbef, risarciti investitori in obbligazioni Parmalat

L’Adusbef, attraverso il suo delegato per la provincia di Caltanissetta – Avv. Giuseppe Giunta – ha riportato un nuovo successo nella annosa contrapposizione tra risparmiatori e Banche.

E’ accaduto che nel 2002 una coppia di risparmiatori venne convinta, da parte di un funzionario di un istituto di credito del nisseno, ovviamente consapevole della “fregatura” che andava a rifilare ai suoi clienti, ad investire in obbligazioni Parmalat. Che si trattasse di titoli c.d. “tossici” la banca ne era perfettamente a conoscenza, ma ciononostante convinse i risparmiatori ad “investire” nell’acquisto dei titoli, in due distinte operazioni, la somma complessiva di €. 75.000,00 oltre le spese per le commissioni relative, pari ad €. 4.410,00 circa.

Dopo alcuni tentativi epistolari con la banca – che respinse ogni forma di accordo – i predetti si videro costretti ad adire il giudizio e si rivolsero, per l’appunto all’Avv. Giuseppe Giunta delegato dell’Adusbef da circa 15 anni per la provincia.

Cominciò così un iter processuale che tra alterne vicende vide finalmente riconosciuto, da parte della Corte d’Appello di Caltanissetta, il diritto al risarcimento dei risparmiatori.

La banca venne condannata a rifondere agli stessi tutti gli importi in precedenza investiti comprese le spese per la transazione, oltre agli interessi legali dal momento della conclusione dell’affare al soddisfo e le spese del giudizio. Cosa che avvenne col pagamento della somma di €. 105.500,00 circa a totale soddisfazione.

In estrema sintesi la Corte rilevò una grave violazione delle prescrizioni contrattuali derivanti dal contratto normativo sottoscritto dai risparmiatori, prescrizioni che indicavano con chiarezza uno stringente obbligo di informazione a carico della banca in favore del risparmiatore, con corrispondente obbligo dell’investitore di osservare le forme previste per ordinare operazioni fuori mercato di tal fatta, mostrando, peraltro, piena consapevolezza delle caratteristiche delle operazioni stesse.

Nella specie si trattava di titoli non quotati nelle borse italiane, in quanto emessi da una finanziaria olandese e quindi dovevano ritenersi certamente oggetto di una operazione non adeguata trattandosi di acquisto da parte di piccoli risparmiatori. Gli investitori, dunque non vennero adeguatamente informati e pertanto vennero fuorviati ed indirizzati ad una operazione a grande rischio di cui la banca era consapevole, ma i risparmiatori di certo ignari.

La Corte, facendo proprie le osservazioni evidenziate nelle difese da parte dell’Avv. Giunta, ha statuito che l’acquisto di titoli emessi da una finanziaria di diritto olandese con il riconoscimento di interessi più elevati rispetto a quelli corrisposti per precedente emissione, avrebbe dovuto imporre un contegno connotato da stretta osservanza delle prescrizioni contrattuali, in correlazione con l’evidente rischio delle operazioni.

Per la Corte, quindi, la banca non ha operato con la specifica diligenza prevista e richiesta per operazioni a rischio come questa, essendosi limitata a fare firmare agli investitori una dichiarazione prestampata con la quale gli stessi si dichiaravano “di alta esperienza in tema di investimenti in strumenti finanziari”. Ma la propensione al rischio del piccolo investitore privato non poteva certo essere valutata dalla banca sulla base di una dichiarazione di tal fatta, che avrebbe richiesto più attenzione, una nuova compilazione ed una esplicitazione della effettiva volontà dei predetti all’acquisto di titoli emessi da una finanziaria olandese. Cosa che i clienti dell’Avv. Giunta sconoscevano del tutto.

La Corte, nel condannare la Banca, ha ritenuto trattarsi di un grave inadempimento contrattuale ex art. 1453 c.c. dalla stessa operato, annullando gli ordini di acquisto e condannando la stessa alla restituzione delle somme maggiorate degli oneri accessori.

Per chi volesse far valere i propri diritti essendo incorso in operazioni similari, l’Adusbef ricorda che è sempre possibile il ricorso alla tutela giurisdizionale se non sono passati 10 anni dal fatto o da una qualsiasi comunicazione (raccomandata) che possa avere interrotto i termini prescrizionali.

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